Foto Alessandro Lucarini

È facile raggiungere San Costanzo attraverso le strade che, dal mare di Fano o Marotta, salgono sulla prima collina dove cinquemila abitanti, oltre il nucleo centrale, abitano le frazioni che hanno nome Cerasa, Solfanuccio, Stacciola, Le Grazie e Santa Croce. Sono sparse su quattromila ettari intensamente coltivati, affacciati sulla piana del Metauro, teatro dell’omonima battaglia in cui perse la vita Asdrubale nella sconfitta dell’esercito punico inflitta da quello romano nel giugno del 207 a.C.

Da Toto

piazzetta Monumento ai Caduti

Il centro era ormai consolidato con l’economia alimentata dall’agricoltura – che dava frumento, olio e vino – e dall’artigianato delle tante botteghe al servizio delle contrade (Castello, San Silvestro, S.Agostino, il Borgo e altre) con a capo un Podestà dipendente dal Cardinal Legato. Nonostante fosse in collina, San Costanzo non riuscì a scampare le incursioni dei pirati turcheschi che a fine ’600 imperversavano lungo la costa, finché un secolo dopo, fra il 1742 e ’46, dovrà “ospitare” le truppe alemanne. Cinquant’anni dopo, arriverà Napoleone che, sottratte le Marche al Papa, ristruttura tutta l’area collocando San Costanzo nel distretto di Senigallia.

In seguito, con l’Unità d’Italia, il paese segue vicende che si possono scorrere quasi a memoria d’uomo e, anche, seguire il degrado della struttura architettonica delle parti storiche – le mura spesso alterate da interventi sconsiderati – e l’effetto di un’urbanistica invasiva non sempre attenta al rispetto che si dovrebbe al paesaggio, bene comune non solo dei residenti.

Ma è fra Settecento e Ottocento che la cittadina gode un periodo felice diventando luogo di villeggiatura o residenza di esponenti della nobiltà vicina. Si pensi a Francesco Cassi, pesarese e al suo palazzo di fronte al castello dove spesso faceva cenacolo di artisti e letterati che si confrontavano recitando nel Teatro della Concordia realizzato nel 1721.

Palazzo Cassi

Il Palazzo Cassi è sulla piazza dedicata a Giulio Perticari che, ospite del cugino, vi era morto nel 1822. Era un letterato di fama, marito di Costanza Monti, figlia di quel Vincenzo traduttore dell’Iliade. Oggi, recentemente ristrutturato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, ospita la biblioteca comunale e una mostra stabile delle diciotto opere donate da Natale Patrizi, pittore noto come Agrà. In parallelo, work in progress, ideato e coordinato dal prof. Paolo Sorcinelli dell’Università di Bologna, è il “Laboratorio di memorie – Archivio multimediale delle voci” che, registrate in audio e video, raccoglie le testimonianze di uomini e donne nati fra il 1905 e il 1960 per salvaguardare la memoria di una comunità che generazione dopo generazione ha attraversato il Novecento con le sue contraddizioni, le trasformazioni sociali e tecnologiche, il mito del progresso e la fine della mezzadria

Foto Alessandro Lucarini

In quel territorio, da cinque-sei secoli prima, dall’età del ferro per intenderci, c’erano già stati i Piceni e gli Etruschi e i residenti di quel pagus, al tempo della battaglia, erano dediti ad agricoltura e pastorizia e il villaggio, in quell’area border line con la Gallia cisalpina, era strategico per il controllo del traffico sulla via Gallica.

Si vuole che il nome, “San Costanzo”, nel VI secolo, in epoca bizantina, venne stabilito per il dono di una reliquia del martire tuttora conservata nella Collegiata. Il cambiamento dal toponimo precedente – Monte Campanaro – all’attuale, si deve alla necessità di organizzare un nucleo difendibile dove, per sfuggire alle scorribande dei barbari e ai cruenti episodi della guerra gotico-bizantina, confluivano le molte persone che, in cerca di sicurezza, dalla costa risalivano sulle colline. In quegli anni San Costanzo si struttura a difesa sia per l’aria turbolenta sia per i temuto arrivo dei Longobardi che, puntualmente, giungono e si insediano precedendo le successive torme di Pannoni, Suavi, Bulgari, Sarmati, etnie delle quali resta testimonianza in molti toponimi spesso distorti dai cambiamenti del lessico e dell’idioma.

In epoca bizantina, San Costanzo e il territorio fecero parte della Pentapoli di Ravenna per finire, sotto il dominio della Santa Sede che li affida alla famiglia guelfa dei Malatesti di Rimini. Sono loro che fortificano il castello dotandolo delle mura, restaurate o ripristinate ogni volta dopo le numerose scaramucce del periodo. Sconfitti i Malatesta nella seconda metà del ’400, castello e contado tornano alla sede apostolica di Pio II che l’affida a un nipote, finché il Papa successivo, Sisto IV, l’assegna Giovanni Della Rovere, figlio di suo fratello. Sono i Della Rovere a dare forma definiva alle mura castellane il cui progetto sembra sia da attribuire a Francesco di Giorgio Martini, il più grande architetto militare del tempo. La dinastia roveresca continuerà ad amministrare il territorio fino al 1631 quando, con la fine del casato, San Costanzo torna alla Santa Sede che lo inserisce nella Legazione di Urbino.